Ode al DoomSe ascolti o suoni sempre del dark finisci per suicidarti.(Paul Chain)
E’ da molto tempo che sto testando sulla mia pelle questa verità. Ovviamente Paul Chain aveva ragione, ma ci sono oscuri viandanti che hanno percorso tunnel troppo profondi anche per sperare di risalire. In fondo nemmeno loro lo vogliono: quando si diventa parte di un mondo senza luce l’animo umano tende a perdersi tra le ombre senza fare ritorno.
Vagar mi fai cò miei pensier su l'orme che vanno al nulla eternoIl doom nasce dallo stesso esistenzialismo della dark/wave e in pochi sanno apprezzarlo. Una volta un saggio mi disse: “Il doom non è un genere musicale, ma un caso patologico.”
Un genere così oscuro poteva sorgere soltanto nell’epoca più tetra e inquietante che l’umanità abbia conosciuto: un epoca in cui le esistenze si riducono facilmente a spazi angusti, a vite inutili, a sogni impossibili, a un emarginazione che purifica e annichilisce allo stesso tempo.
Finestre della mia stanza,
della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è
(e se sapessero chi è, cosa saprebbero?),
vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente,
su una via inaccessibile a tutti i pensieri,
reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa,
con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri,
con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini,
con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.(Pessoa)
Il doom è l’angoscia e il mal di vivere fatte musica: la vibrazione che scuote le menti dei diseredati sul sentiero della rovina e della disperazione.
Una donna in una stanza vuota in preda al delirio disse che attendeva l’arrivo di Dio e improvvisamente irruppe in un urlo agghiacciante. Quando si riprese dallo shock descrisse Dio come un enorme ragno. La sua ragnatela ci avvolge tutti: siamo in catene, probabilmente schiavi di forze che sfuggono alla nostra comprensione.
La musica del destino.Tutto ciò che accade è conforme al destino. La cultura Dark, come andrebbe rifondata dovrebbe ripartire da Spinoza, Schopenhauer e dallo stoicismo anziché perdersi in mere astrazioni estetiche e futili suggestioni mitiche.
Ammettendo che le scelte dipendono dalla nostra volontà ciò non spiega da cosa dipende la nostra volontà, né tanto meno la sua origine. L’uomo è comunque soggetto alle leggi del cosmo le quali determinano il suo agire.
Il fato non è una forza che costringe il comportamento umano dall'esterno, ma piuttosto una legge universale che si esprime anche attraverso la natura propria dell'uomo, che è fatta di impulsi e razionalità. Il fatto che l'uomo possieda la facoltà di scegliere non toglie che questa facoltà sia parte della legge universale del cosmo che è appunto il fato. Non è per niente scontato che le decisioni degli uomini siano libere, cioè che invece di esse si sarebbero potute realizzare le decisioni opposte. Kant lo sapeva molto bene. Sapeva che la libertà non e' qualcosa che si possa "vedere", non e' un fatto che si mostra nell' esperienza. L' uomo non e' visibilmente libero: si decide di considerarlo tale. Anche questa decisione è opera del destino.
“I fati conducono chi vuole, trascinano chi non vuole.”(Cleante)
Omit - ReposeLa recensione che segue è tratta da Metal Wave.
Vediamo ritratta la band in un tetro e decadente salotto barocco, tutti depressi, la cantante stravolta, distesa sul divano versa sangue dalle vene di un braccio in una tinozza posta a terra di fronte al sofà. Non me ne stupisco nemmeno un po'! Devono aver avuto diverse crisi di nervi durante l'incisione di questo “Repose” (pure il titolo, comunica un'oscura immobilità...), un mastodonte funeral doom dalle aperture psichedeliche e gotiche con brani della durata di addirittura ventisei minuti (infatti si tratta di un doppio cd)! Arrivare fino alla fine del lavoro è croce e delizia: tortura fisica spossante a causa dei minuti che scorrono lentissimi e gaudio nell'immergersi ed annegare nelle profonde melodie, ondeggiando lentamente verso il fondo dell'abisso. Sembra la descrizione di una morte lenta, attraverso momenti di barocca esaltazione e limacciosi passaggi depressivi guidati dalla lontana voce eterea e malinconica di Cecilie Langlie.
“Scars”, traccia di apertura ci introduce alle prime sensazioni di smarrimento, con le prime angosce, molta cupezza evocata dalle malinconiche tastiere, una versione minimale e ancor più tetra di quelle dei My Dying Bride e inasprita dall'incedere lento e pachidermico della sezione ritmica.
“Dissolve” è il brano più duro, sempre monolitico e flemmatico, ma più crudo (se riuscirete ad accorgervene), adornato di fascinosi suoni di sintetizzatore che inseguono scale dal sapore orientale.
I Ventisei minuti di “Insolence”, posti in chiusura forniscono la mazzata finale, l'ultimo battito prima di cadere nel deliquio, nell'oblio e nella dimenticanza. Momenti solenni ed enfatici cullano il cervello, rallentamenti gotici profondissimi, degradi industrial e momenti di (quasi) nulla l'annichiliscono.
Non sono certo il primo gruppo dedito a questo genere, però hanno un indubbia classe; la scelta (se tale è stata...) di una voce femminile stilisticamente vicina a certa darkwave (ad esempio ai Black Tape For A Blue Girl) caratterizza singolarmente il gruppo in un genere nel quale solitamente domina l'uso di growl spesso decisamente artefatti. La ricerca di melodie stratificate di tastiera, contrapposte alla brutalità della chitarra accordata bassa e di una batteria rigida e marziale, contribuisce ad un ascolto appassionante.
Line-upBert Nummelin
Kjetil Ottersen
Cecilie Langlie
Il myspace
http://www.myspace.com/omitmusicScarsDissolve